L’odore del mare imbratta quello acre delle olive condite, la verdura e i merluzzi nel ghiaccio; un effluvio che avvolge la pescheria. Chi passa vede anguille, teste di pesci con le spade, tacchini appesi al chiodo, crostacei che alzano le chele rosa come nuvole al tramonto. Il sole scalda le voci. Carla suda, l’aria la stordisce. La valigia zoppica nel selciato. La ragazza raggiunge l’ostello. In stanza si guarda allo specchio, indossa qualcosa di fresco, un po’ di matita nera, e ritorna per strada.
Le case appiccicate come per un bacio, le porte sbarrate, i panni stesi, le grida dei bambini. La chiesa della Santissima Immacolata sopra una gradinata. I palazzi fanno ombra e nascondono chiostri, cortili, il verde dei rampicanti, le palme ingiallite, fontane di marmo. Poi Carla va in Corso Vittorio Emanuele, segue un’insegna turistica fino ad un portone: dentro si spalanca un teatro di pietra. Seduta sui gradini allunga le gambe. Rimane così, sui resti archeologici, sotto balconi delle case, la biancheria stesa al sole, il rumore delle pentole, l’odore delle cucine. Tutto questo piove sopra il teatro, che è un miracolo dentro la città.
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