Dal greco scandalo (σκάνδαλον) significa ‘insidia’. ‘Turbamento della coscienza e della sensibilità altrui, provocato da atti, comportamenti o discorsi contrari ai principi correnti di moralità, di pudore, di giustizia, ecc.’.
Quando la storia di un individuo si scontra con la storia della propria comunità fatta di leggi scritte o convenzionalmente condivise, nasce lo scandalo: è messa in pericolo la sopravvivenza di una idea di normalità e perfezione sociale.
I racconti di Kafka, Il Processo, per esempio, rappresentano l’insinuarsi di una norma preventiva che sottrae allo scandalo spazio tempo parola, fino alla soppressione.
Nel 1925 Virginia Woolf afferma molto chiaramente che la parola “romanzo” non le appare adatta per descrivere i suoi lavori; lei piuttosto avverte l’esigenza di appropriarsi di un nuovo termine che colga più efficacemente la sua scrittura, così le viene in mente di usare il termine “elegia”.
Al faro vuole proprio essere un’elegia indubbiamente rivolta al faro di St. Ives dove Virginia trascorreva da bambina le vacanze estive. È opportuno ricordare che la preposizione to in inglese non indica solo un moto a luogo, ma è anche un dativo, dunque introduce un complemento di termine, un’offerta rivolta a qualcosa o a qualcuno. Ecco che l’oggetto a cui si rivolge Virginia in tono elegiaco è il faro.
Il faro si staglia in verticale sulla massa marina orizzontale dei ricordi d’infanzia, dunque il romanzo si configura come un’elegia rivolta alla memoria, nella consapevolezza che, in questa disposizione dello spirito, “la vita tornerà con un’aggiunta di senso” (N. Fusini, Commento e note ai testi. Al faro, ne I meridiani. Virginia Woolf. I romanzi, Mondadori, 1998). Del resto, il significato lo si raggiunge sempre così, a distanza di anni; si approda al senso del passato quando se ne sono prese le distanze e il passato appare un atollo della nostra coscienza.
Uno degli autori antichi di cui è giunta grandissima parte della produzione letteraria è Cicerone. Orazioni politiche e giudiziarie, manuali di scrittura, saggi di filosofia e storia della retorica, raccolte di lettere. Gran parte delle conoscenze dell’ultimo periodo della repubblica di Roma si confrontano col punto di vista, lo sdegno e la passione politica di questo campione dell’arte della persuasione. Leggere Cicerone non è un esercizio liceale, ma un’avventura della conoscenza. Nulla di quanto scritto, è stato fatto per averne un tornaconto economico. D’immagine, sicuramente. Interessi politici, esistenziali. Ma non direttamente economici. Cicerone, per quanto le orazioni circolassero già nelle librerie dell’epoca, non viveva di scrittura. L’otium letterario inoltre non produceva reddito, ma garanzia d’immortalità. Leggere gli antichi è quindi, come fatto di principio, già una promessa di autenticità, una sfida alla morte.
Questo romanzo di Gian Marco Griffi, uscito circa un mese fa, è probabilmente destinato a diventare il caso editoriale dell’anno. Sarebbe un errore farsi scoraggiare dalla mole (sono 816 pagine, compresa la postfazione di Marco Drago), perché si tratta di uno di quei casi rari di storia magnetica e fascinosa che sin dalle prime pagine ossessiona a tal punto il lettore da impedirgli di staccarsene, trascinandolo con sé fino alla fine.
La trama portante, dalla quale però si dirama un’infinità di storie secondarie, è costituita da una vicenda grottesca. Siamo ad Asti, nel mese di febbraio del 1944, e il giovane milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria Cesco Magetti, tormentato dal mal di denti e impossibilitato a recarsi dal proprio dentista Guasco, perché aveva da poco disertato per raggiungere i partigiani sulle colline, riceve dal suo Aiutante capo Morucci un incarico assurdo: “redigere una documentazione dettagliata della rete ferroviaria del Messico” (p. 11) in una settimana, a partire dall’indomani, 9 febbraio. Questo incarico, che sconvolgerà in vari modi non solo la vita di Cesco ma anche le vite di molte persone che gli stanno attorno, compresa quella dell’odioso Obersturmbannführer Hugo Kraas, non è altro che uno dei risultati a cascata del classico “effetto farfalla”, e la farfalla in questione aveva mosso le proprie ali il 7 giugno dell’anno prima in uno sperduto ufficio dell’Ordnungspolizei (Orpo) di Berlino.
Due tre chiodi, conficcati a colpi di martello sulla parete, per farne una croce e appendervi un corpo che al terzo giorno si risveglia. È un romanzo musicale nella struttura e nella retorica, quindi poetico. Un’opera post minimalista. Materiale linguistico come lenti per osservare uno spazio e plasmare il proprio immaginario. Più che nell’intreccio e nella trama la storia si fa concreta per un accumulo ripetitivo e variato di un’unica tensione ossessione tematica: il corpo e la sua sopravvivenza. Un horror abitato da zombie e sostanze artificiali. I pochi angoli di luce che la dinamica della relazione sentimentale regala – lo scintillio della lotta d’amore – sono rabbuiati dalla compresenza di oggetti ed esistenze spente: cose che stanno dove stanno inerti per essere consumate, usate, sfruttate, svuotate di vuoto. Il cibo non restituisce più energia e vita, ma malessere e gonfiori. Tutto questo è quello che rimane dopo il trauma, dopo l’evento catastrofico.
Storie di oligarchi è un saggio storico scritto con un linguaggio fluido, in cui Luciano Canfora sintetizza l’opera letteraria di Tucidide (uno dei più grandi storici del mondo greco, autore della Guerra del Peloponneso e conosciuto anche per esser stato il primo storico che sottrae ogni divinizzazione all’interpretazione dei fatti) e parzialmente Senofonte. Il periodo storico in questione è quello legato agli scontri ad Atene tra personaggi filo-democratici come il generale Alcibiade, sempre in agguato a difesa dello status quo democratico, e un gruppo di oligarchi che durante le assemblee popolari sfruttavano gli eventi esterni con abilità oratorie per raggiungere il potere.
Fin dalla nascita le condizioni di vita di Samia non sono delle migliori. In Somalia, intorno agli anni Novanta, c’era la guerra e questo ha comportato povertà e morte. Samia vive insieme alla sua famiglia, è una bambina furba e intelligente, ma allo stesso tempo piena di affetto per la sorella più grande Hodan, per il padre Aabe, e per il suo migliore amico Alì, il quale vive sotto lo stesso tetto. Samia e Alì in comune hanno anche la voglia di esplorare, di giocare e di vivere. Infrangono le regole, e si cacciano in parecchi guai. Samia però è più fortunata per certi punti di vista, ha la possibilità di aggrapparsi all’unica cosa che la rende felice: correre.
Non lasciarmi è un romanzo ucronico dello scrittore britannico di origini giapponesi Kazuo Ishiguro, pubblicato nel 2005. Il genere ucronico si basa sulla premessa che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale.
La storia è ambientata in Inghilterra, negli anni novanta ed è proprio grazie all’utilizzo di flashback che la protagonista, Kathy, ci racconta del rapporto venutosi a creare nel tempo tra lei, Tommy e Ruth. I tre ragazzi crescono in un collegio, Hailsham, insieme ad altri compagni accuditi da un gruppo di tutori che si occupano della loro educazione. Kathy sin da piccola osserva molto quel che accade intorno a lei, ed è sempre pronta a cogliere ogni dettaglio utile a comprendere come sarà il futuro fuori da Hailsham. La triste verità è che però quella vita futura non arriverà mai. Kathy, Ruth e Tommy lasceranno Hailsham ed il cambiamento radicale avverrà proprio in quel momento, quando dovranno fare i conti con la realtà. Sono ormai consapevoli che il loro destino è quello di diventare assistenti di donatori e un giorno loro stessi donatori.
Puoi chiamarmi Emma di Matilde Falasca, editato da Giulio Perrone editore (Roma 2022) parla di una ragazza di nome Margherita che frequenta il liceo Saffo di Roma. È una ragazza piena di sogni, di speranze ma soprattutto possiede una personalità forte e determinata. La sua vita è concentrata su un suo stato d’animo non meglio definito che chiama non so chi. In tutto il libro resterà questo stato d’animo, ma nel contempo Margherita inizierà a sbloccarsi e vivere più intensamente.
Le emozioni descritte sono quelle tipiche di noi adolescenti. Margherita inizia il suo processo di crescita e cambiamento servendosi di alcune lettere che firma e scrive usando un alter ego, perché nelle lettere non sarà più Margherita ma Emma. Emma s’innamora di un ragazzo, e anche lui ha un alter ego: Teo.