Fiori di bugie
ammantano
il cemento
dell’arroganza.
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parco archeologico

Questo è un parco archeologico come le rovine di Pompei. La rovina di un paese, qualsivoglia paese, di tutti i paesi e di tutti i resti amabili perché sconfitti dalla storia e dal tempo. Ecco i nuovi luoghi antichi che vengono dal passato più recente, che come resti archeologici traboccano di visioni, sogni, ideali di una civiltà scomparsa e sconfitta: senza più amore, senza cura, corpi disfatti dalla fame e dall’emarginazione. Sono questi, e quanti ancora s’aggrappano a quel cuore in armonia col mistero della vita. È stato sradicato un albero secolare. La legna arde in altri luoghi.
Una storia vera (1)
di Giulia F.
Non giudicatemi, ho cercato di essere me stessa e non è stato facile. Da piccola sono stata una bambina silenziosa, per questo ero messa da parte dai miei compagni. Non mi cercava nessuno, ero solo un intralcio. I bambini sanno essere spietati e cattivi, mi nascondevano il diario di scuola e lo ritrovavo dentro l’armadietto dei libri, in bagno oppure sotto l’albero del cortile. Ogni volta che la maestra faceva il dettato, io non trovavo le penne, chiedevo che qualcuno me ne prestasse una nera o blu, anche smanciata nel tappo, consumata, ma nessuno mi voleva bene. La maestra mi rimproverava, avevo tentato di spiegare il mio problema con tanta timidezza come un uccellino impaurito dentro la gabbia, ma neanche lei mi ascoltava, credeva che fingessi. E un giorno provai a parlare con la preside, una signora grande, che vestiva sempre di bianco. – Preside mi rubano sempre le penne e il diario – denunciavo. – chi sono questi compagni cattivi?
Leopardi, sulla bellezza.
Leggo il p. 1318 dallo Zibaldone. Leopardi non definisce cosa sia la “bellezza”, (probabilmente l’avrà già fatto o non lo farà mai) bensì afferma che “intorno al giudizio del bello, non opera tanto l’assuefazione, quanto l’opinione”. In breve, un libro, una donna, un quadro, una poesia è giudicata tanto più bella quanto maggiore è la sua notorietà. Dal giudizio all’assuefazione, il passo è breve. Per dimostrare quanto affermato Leopardi chiama in causa l’esperienza quotidiana: “Chi non sa che una bellezza mediocre, ci par grande s’ella ha gran fama?”. Poi parla degli scrittori e dice: “il formare il gusto, in grandissima parte non è altro che il contrarre un’opinione… se tu cambi opinione, ecco che quella stessa opera ti dà sommo piacere, e ci trovi infinite bellezze di cui prima sospettavi.”
a morte il postmoderno
Tu che fai cose, per cui la volontà è innocente e vittima; tu che desideri cose che non sono mai state al mondo, cose di uomini; tu che lavori in un centro commerciale e incassi la tua percentuale di pane quotidiano; tu che la mattina ti vesti da professoressa e impartisci la preghiera laica dei manuali e delle tabelline, per non credere a nulla e non sapere niente al di fuori del vano; tu che sorridi per strada e vorresti aprire una porta alla vita, dentro la vita di qualcun altro; tu che cambi amici come se cambiassi i calzini d’inverno, pur mantenendo fede nominale all’amico di sempre, se amica fosse, sarebbero due piccioni con una fava; tu che suoni dentro i teatri capolavoro e intendi per esperienza cosa sia musica e cosa rumore, che significhi avere udito oppure essere sordi per cerume addensato; tu che pubblichi libri, fai l’editore,
un gomitolo di cause
Dall’espressione gaddiana a descrivere la testa del Ciccio Ingravallo, dalla capigliatura corvina nera di pece e crespa quasi riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, intravedo una sofferenza, che è poi un leitmotiv nazionale, da intellettuale un tempo di sinistra sinistra, senza il senso delle cose reali e senza rivoluzione, oggi non so più di quale parte o patria: secondo cui la propensione loica abbia a soffrire il caldo della latitudine: e nella nostra bella penisola chi pensa e pensa metafisco, debba nascondere le corna dalla vista altrui, prezzo l’incomprensione, se non l’opinione da passaparola che lo farebbe addummisciuto e spratico (aveva l’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con laboriosa digestione, descrive Gadda). Del bernoccolo metafisico viene data subito prova, rigo cinquantuno e seguenti: tutta la questione della causa prima o della concausa, gomitolo o napoletano gnommero, conseguente d’effetti o effetto. E Gadda si tira una pagina intera quasi pensiero fondante di una coscienza da investigatore a trecentosessanta gradi.
Pavese sulla spiaggia
E anche Stefano, benché certe mattine uscisse all’alba e andasse da solo sulla sabbia umida a vedere il mare, cominciò, quando sentiva all’osteria che nessuno sarebbe venuto quel giorno con lui, a temere la solitudine e ci andava soltanto per bagnarsi e passare mezz’ora. Da Cesare Pavese, Il carcere. Chi abita un paese di mare, e conosce l’onda meglio di qualunque altro, il mare non vuol dire nulla o soltanto refrigerio. La moda, perché moda è costume abitudine consuetudine, del nostro mezzo secolo trascorso, è il ritiro balneare e l’affaccio all’orizzonte e la casa con veduta blu. Un sovrapprezzo ai sogni, un simbolico pensare gratis. Un orlo indefinito, il vago attendere. Un precipizio sfumato a colori. Chi il mare lo conosce, nel mare trova invece attività pratica, diventa lupo, riconosce i venti. Aspettare che l’infinito dia pace, è un pensiero leopardiano, si fa poesia. La vita è Robinson Crusoe, che accerchiato dal mare trova salvezza in terra.
Trimalchione e Seneca.
Dissacrante Petronio. Ascilto ride spettatore del cattivo gusto degli invitati a casa di Trimalchione, in 57, ceterum Ascyltos, intemperantis licentiae, cum omnia sublatis manibus eluderet et usque ad lavrimas rideret, attirandosi un appassionato rimbrotto da parte di Ermerote. Questi, una volta terminato l’assalto verbale contro Ascilto, urla contro Gitone qui ad pedes stabat, risum iam diu compressum etiam indecenter effudit. Coeperat Asxyltos respondere convincio, sed Trimalchione interviene a calmare gli animi, agite scordalias de medio. suaviter sit potius, allontanate i litigi, piuttosto vogliatevi bene!, et tu, Herneros, parce adulescentulo. sanguem illi fervet, lascia perdere il giovincello, ha il sangue caldo, tu melior esto. E qui, sembra che Trimalchione si veste da sapiens, con involontaria citazione dal de ira di Seneca: semper in hac re qui vincitur vincit. et tu cum esses capo, cocococo, aeque cor non habebas. simus ergo, quod melius est, a primitiis hilares et homeristas spectemus. Seneca direbbe: victus ets qui vicit. Con variante di un epicureismo consumista radical chic, Pace e ilarità, banchetto e poesia, il liberto filosofo impartisce lezioni di clemenza e tolleranza, per ricadere nel gusto per le cose raffinate volgari della vita. Non per star solo, alta torre eburnea nel bosco dei lupi e delle pecore. Sempre in Petr., Sat., 59.
Trimalchione, l’apparizione.
Teatro, cinema ante litteram. Prima apparizione, senza sapere chi sia, fa il suo ingresso un senem calvum, tunica vestitum russea, inter pueros capillatos ludentem pila; il pater familias, qui soleatus pila prasina exercebatur, con tutta la scena seguente della servitù intenta a raccogliere le palle. E poi .. Trimalchio digitos concrepuit, ad quod signum matellam spado ludenti subiecit.
Seconda apparizione: Trimalchione spalmato di unguento tergebatur palliis ex lana mollissima factis. Poi sale sulla lettiga col seguito di eunuchi e schiavi: sulla lettiga c’è anche deliciae eius, puer vetulus, lippus domino Trimalchione deformior.
Terza apparizione, venalicium cum titulis pictum, gli esordi. Trimalchione in un affresco, lui il re del commmercio. Quarta apparizione, primo piano, è lui, a tavola, summus in imo: fa ingresso a pranzo iniziato, ad symphoniam allatus est. Pallio enim coccineo adrasum excluserat caput circaque oneratas veste cervices laticlaviam immiserat mappam fimbriis hinc atque illinc pendentibus – la testa calva sbucava da un mantello scarlatto, intorno al collo, appesantito dal vestito, aveva rincalzato un tovagliolo a larghe balze con frange che pendevano qua e là. Anello subauratum alla mano sinistra, in minimo digito; all’estrema falange del dito seguente, l’anulare, un anello totum aureum, intarsiato di ferro come stelline; nel braccio destro armilla aurea et eboreo circulo lamina splendente.
Reazione finale di Encolpio e Ascilto: un ridere incontrollato.
Expressit imprudentibus risum. In Petronio, Satyricon, 26 – 32
Gadda e Giovenale
“ … è il gioco di qualunque, istituto o persona, voglia attribuire alla propaganda e alla pesca le dimensioni e la gravezza di un’attività morale” scrive Gadda, come Giovenale satirico. La pesca, in specie di pesce grosso, smisuratamente ingombro, inquadrato nel pixel sui socialnetuorc, la folla assiepantesi dei mipiace e la calca delle faccine numerevoli esclamative, essa è, così è data, nelle tradizioni delle lettere, sintomo di fortuna: traguardo di libertà d’individuo solingo e asociale: exemplum d’elezione materiale, ipso facto: la praeda ipso iure è bottino rapinato, da restituire al debito proprietario munito di codice e glaudium, annessa feroce furbizia, dogmatica egemonia di Imperatore. La pesca, propizia volontà degli dei, sempreterni e imperscrutabili, altisonante Zeus, nembifero. Non poteva Domiziano, Testa di morto della Provvidenza, non essere princeps dei mari. E la paura che gli dei inventassero uno scherzetto letale all’ultimo degli umani, attanagliò il pescatorello di grosso animale acquatico dell’Adriatico mare. Il grosso calibro avrebbe potuto con incredulità smuovere dal cielo il manganello della giustizia.