Libertà

di Giulio Traversi

UnknownPrima che tu diventassi pazza, eri una ragazza semplice e graziosa.
Da quel momento in poi hai navigato. Tutto quello che hai incontrato: isole deserte, meravigliose terre ospitali e ricche di felici presagi, non ti hanno restituito la purezza della memoria, hai vissuto morsa da una tenaglia dove il cuore batte, fintantoché non sei ritornata ed è stato un posarti stanca nella freschezza di un letto luminoso. Perché hai viaggiato per ritornare. E fuggirai ancora per non ricordare e sapere che siamo già stati nella casa del padre. Non lo sai, infliggevi trame al tuo corpo, tu che non volevi essere l’incanto del tuo specchio, tu che amavi e ti odiavi profondamente. Quanti ti hanno desiderato, hanno studiato la delicata tua giovinezza; per quella parte del mondo che ha sezionato il tuo corpo, che non ha ascoltato il tuo sogno, la palude, coltivi ora la tua indifferenza.

Altro

Gadda e i due punti

ritratto-di-carlo-emilio-gadda“Nel frattempo la salma  era stata rimossa, e trasportata al Policlinico, dove si era proceduto a un esame esterno del corpo. Nulla. Rivestitala e ricompostala, ne venne fasciata la gola: con bianche bende: come d’una carmelitana distesa nella morte: il capo ravvolto d’una specie de cuffia da crocerossina: senza la croce, però. A vedella così, bianca, immacolata, se levaveno subbito er cappello. Le donne se facevano er segno de la croce.” Gadda mi sembra qui un regista di teatro, la pagina diventa tridimensionale. Due punti così, forse solo Manzoni.

Varrone Marco Terenzio e Bufalino Gesualdo

Bufalino a ComisoIl libro, come se fosse lui un oggetto sacro. Marco Terenzio Varrone dedica alla moglie Fundania il De rustica. Egli sa che scrivere è destinare una voce, la propria voce, all’immortalità. Verba volant scripta manent. La scrittura è un gesto che edifica monumenti. Non libri, monumenta. Quanti libri di Marco Terenzio Varrone sono naufragati nell’oblio? E se c’è chi scrive per farsi leggere da sconosciuti, perché non lasciare almeno un ricordo della propria voce a quanti, amici o familiari, ci sono più cari? Immodestia? Paragonare la propria voce a quella della Sibilla, profetessa di Cuma, questo fa Varrone, è un gesto consapevole di superiorità. Il più erudito tra i Romani al tempo di Cesare. Gesualdo Bufalino risponde a Michael Jakon: “la maggior parte dei miei amici sono o morti o lontani. Non ho quindi luoghi o persone con le quali intrattenere un colloquio, una socialità”. Poi aggiunge: “A me interessa poco il successo, pochissimo esser letto per ragioni economiche, ma io ho alternato spesso la pubblicazione dei miei libri per il pubblico, con la pubblicazione di libri che invece ho pubblicato in edizione privata, da regalare agli amici.”

cima innevata

Che si legge così in volata tagliando traguardi firmati da saputelli, che il panettiere ha sfornato le solite forme di bene quotidiano, per solleticare voglie di chiunque: osservatori dell’esistenza dalla specola del commercio dei pensieri in carta riciclata. Certi polmoni farebbero bene a respirarne l’aria di montagna, tra il carpino e la robinia, anziché scendere di cima in palude, dove la densità dell’aria e i miasmi inducono a crisi d’asma e miopia d’urgenza chirurgica; epperò l’estate è la stagione dei bagni. In pianura c’è gente e la solitudine è solo una condizione esistenziale.

lamentele e desideri

Come poteva continuare a desiderare cose di tutti i giorni: pace e serenità, indipendenza e benessere, salute e amore? Non è più un fatto di buona educazione. Lei parla. È cresciuta col microfono per biberon, e dice che il suo vero desiderio è poter disporre di tutta se stessa al meglio, senza condizionamenti. Che follia! presumere l’assenza di condizionamenti è follia. Ma stato di grazia è dimenticarli e illudersi che quanto si persegua sia davvero puro e incontaminato atto di autodeterminazione. Io sono, e scelgo. Lei non sa che l’unico atto di volontà possibile è tirarsene fuori, biasimare, accusare, imprecare, voler prospettare una rivoluzione, emanare un’aura di cambiamento. Dire come sarà ad altissima voce. Solo in questo gesto artistico e retorico c’è la libertà di essere sogno.

treno

“Si vide la notte biancheggiare di sassi, in una sua fenditura che si aprì e si richiuse in pochi secondi; e il treno rallentò di più, si videro di nuovo lucciole, di nuovo si udirono i grilli, si sentì il fresco odore dei monti coperti di carrubi”. Di queste descrizioni è ricca la scrittura di Vittorini. Si potrebbe leggere, rileggere più volte, col desiderio di cogliere quel di più che produce. Si immaginano carrubi, grilli, lucciole: il luccichio, il suono, l’odore. Mentre un treno rallenta. La carica poetica della descrizione è fortissima, come una metafora gigantesca di uno stato d’animo regressivo. Tornare indietro alla ricerca della verità. Viaggiare a ritroso per ritrovare una nuda verità. Come è difficile oggi poter scrivere una pagina simile. Non è più letteratura contemporanea questa. A noi è compito scoprire la nostra verità, e vestirla al suono dei grilli anzi, al lucore delle lucciole. Ma, dentro il nostro cuore, questo viaggio all’indietro, ha altro sapore, quello della sconfitta, non del ritrovamento. Tanto è difficile rientrare nel tempo della natura. Non svelamento, ma rassegnazione. Oppure non sarebbe un luogo di povertà ma di estremo privilegio. Il privilegio di vivere senza cemento è di pochi. Di pochissimi il privilegio di viaggiare in treno lontanissimi dal resto del mondo. Tanta poca letteratura contemporanea è da leggere oggi. Con le storie e le forme di un cinquantennio fa. Tentare di raccontarsi è una urgenza di chi scrive.

elogio dell’oblio

Questa smemoratezza che si fa spettacolo, vorrà forse raccontare qualcosa che è davvero impalpabile. Questo bellissimo sogno, d’una collina piena di case, e di una casa di prete, inarrivabile e isolata, ma splendidamente aperta sulla valle. Tutti i balconi sulla valle. Un casa cadente, col ballatoio fragile, lontana dagli uomini civili. Questa smemoratezza che s’illumina nei casi in cui non si percepisce fondo di veritá. L’oblio del superfluo. Se non sono io, è l’altro me che gli dà udienza. Un’altra realtà, vera, parallela, in letargo.

Elio Vittorini, e il traforo del Frejus come le Piramidi

imagesIl Sempione strizza l’occhio al Frejus. Una storia di povertà e disoccupazione, intorno al tavolo della stanza da pranzo. Tensione formale, valenze astratte dei personaggi, forme narrative che disegnano condizioni mitiche. Un rigirìo di pensiero che rimanda antelitteram a Stefano D’Arrigo. È provincia il luogo del racconto, il ponte sul Lambro. Ma anche questo lungo e infaticabile interno è provincia, come dire è in ogni tempo. Questione antica, il nonno improduttivo. Chi mangia e pesa nell’economia della casa. La scomparsa eroica dentro il bosco, come gli elefanti che cercano il luogo dove morire. Togliersi dai pensieri quotidiani, morire con dignità. Sarebbe una storia di oggi, con la variante della tivù che racconta pensieri finti, il cibo in scatola già pronto, il benessere elettronico, e l’essenziale, la libertà di esistere diversamente, mangiato dalla noia, la disoccupazione materiale e sentimentale. Una descrizione di paesaggio industriale, diremmmo città. I treni immancabili che corrono sulle rotaie vicino a un bosco, che dà ricordo di cosa si sarebbe se fossimo natura. il binario sommerso dalle ortiche. Guancia appoggiata alla città. Uomini liberi, e non di qualcuno. Non prestidigitatori come nei nostri tempi. I tempi in cui si soffriva la fame, quelli del dopoguerra. I tempi oggi in cui si soffre d’altro.
Nel giro di certi dialoghi, nel cerchio ripetitivo del significato mi sembra rivedere l’ottusità essenziale di certi siciliani tutto dialetto e mani sporche, una ottusa genialità che così pare all’istruito filosofo, ma che non è altro che mente attorcigliata torno torno lo Abc della esistenza.

il polacco Maciej della Tomassini

Che bisognerebbe avere il tono, la voce che racconta sarebbe da immaginarsela. In Sangue di cane la protagonista la sentivamo al nostro fianco che ci soffiava un’epica della marginalità, ed era bello, ed era tremendo. Ora il breve racconto è lucido, controllato, parola scritta per bene, pulita pulita. Distacco narrativo. E no, così non piace leggere di marginalitá, vorrei sentire la puzza di alcol e vedere le gambe smagrite di una puttana slava, perché le parole possano essere quelle sbagliate al posto giusto, storpie e muscolose. Questo stare all’erta abbaglia la scrittrice di luce artificiale. La provincia allora si era confusa con capitale d’impero. Preferiamo sempre il sangue e la puzza di sbornia.