Il libro, come se fosse lui un oggetto sacro. Marco Terenzio Varrone dedica alla moglie Fundania il De rustica. Egli sa che scrivere è destinare una voce, la propria voce, all’immortalità. Verba volant scripta manent. La scrittura è un gesto che edifica monumenti. Non libri, monumenta. Quanti libri di Marco Terenzio Varrone sono naufragati nell’oblio? E se c’è chi scrive per farsi leggere da sconosciuti, perché non lasciare almeno un ricordo della propria voce a quanti, amici o familiari, ci sono più cari? Immodestia? Paragonare la propria voce a quella della Sibilla, profetessa di Cuma, questo fa Varrone, è un gesto consapevole di superiorità. Il più erudito tra i Romani al tempo di Cesare. Gesualdo Bufalino risponde a Michael Jakon: “la maggior parte dei miei amici sono o morti o lontani. Non ho quindi luoghi o persone con le quali intrattenere un colloquio, una socialità”. Poi aggiunge: “A me interessa poco il successo, pochissimo esser letto per ragioni economiche, ma io ho alternato spesso la pubblicazione dei miei libri per il pubblico, con la pubblicazione di libri che invece ho pubblicato in edizione privata, da regalare agli amici.”