di Giulio Traversi
Prima che tu diventassi pazza, eri una ragazza semplice e graziosa.
Da quel momento in poi hai navigato. Tutto quello che hai incontrato: isole deserte, meravigliose terre ospitali e ricche di felici presagi, non ti hanno restituito la purezza della memoria, hai vissuto morsa da una tenaglia dove il cuore batte, fintantoché non sei ritornata ed è stato un posarti stanca nella freschezza di un letto luminoso. Perché hai viaggiato per ritornare. E fuggirai ancora per non ricordare e sapere che siamo già stati nella casa del padre. Non lo sai, infliggevi trame al tuo corpo, tu che non volevi essere l’incanto del tuo specchio, tu che amavi e ti odiavi profondamente. Quanti ti hanno desiderato, hanno studiato la delicata tua giovinezza; per quella parte del mondo che ha sezionato il tuo corpo, che non ha ascoltato il tuo sogno, la palude, coltivi ora la tua indifferenza.
La provincia non è sempre provincia. I paesi in mezzo alla campagna hanno contorni di città. I palazzi, le piazze di cemento, i locali in lingua inglese, la pubblicità. I perimetri sono periferia, il cuore antico è inimitabilmente perduto. Tutto ciò che è antico è rovina. La chiesa, il teatro, i vecchi edifici: segni lontani. Il tuo cuore è stato abbandonato, il resto del corpo si è indaffarato, agitandosi per attraversare luoghi lastricati dalla convenienza e dall’utilità.
Si comincia ad essere studenti molto presto, anche senza dover studiare. Decidi che continuerai a essere una studente, non hai alternativa, con l’attitudine alla rinuncia e al rifiuto. Incontrerai gente adulta che ti toglierà il fiato, ti starà didietro pur di convincerti di qualcosa.
E tu invece sarai sempre una spiantata.
Eppure hai sete. Hai bisogno di sentirti realizzato.
Cerchi giornalmente qualcosa che ti renda piacevole l’esistenza, trovi un gruppo di amici e hai la sensazione di poterti adagiare, aspettare, ridere, pur mantenendo un profilo enigmatico, puoi nasconderti, cullarti di tutto quanto non si dice sul tuo conto, e questo ti fa stare benissimo. Se anche lì dentro, tra amici, cominciassero ad accusarti che non sai fare nulla e sei un’incapace … I capi branco sono i boss, le pecore sono il resto del mondo. I lupi sono sciacalli, quelli che ti masticano in faccia i loro pensieri senza curarsi delle mode. I lupi godono di molto rispetto.
Tu non sei stata un lupo. Hai deciso di lasciare il gregge.
Per raggiungere questo luogo, che è un paese di tanti troppi abitanti, percorri una strada che taglia in due campagne e monti. D’inverno tutto è verde, in estate giallo. Lungo i crinali dei colli svettano pallidi piloni eolici. Quando lenti le pale ruotano, suonano un valzer malinconico. La strada sale e la campagna si fa bosco e prato, spazi silenti, casolari in pietra. Poi si scende verso l’altopiano. E poi costeggiando pendii dolci, vitigni e campi d’ortaggi veli di serre. Fino a mare, campagna bassa, spremuta come arancia, produttiva, melanzane d’oro, la produzione permanente.
Sei diventata pazza. Sei fuggita di casa, con uno zaino sulle spalle. Lui, il tuo amore è venuto a prenderti. Ti Ha condotto dentro un casolare, ti ha mostrato la sua villa. A te è piaciuto perché ti sentivi libera. Hai creduto che la libertà fosse fare di testa propria. Non aspettare niente, ma cominciare. Andare dove? Ha i creduto che la libertà fosse una scelta, invece è stato solo un gesto.
Imparare questo gesto, giorno per giorno, sommarlo a mille altri gesti, é diventare adulti.
Hai vissuto con un lupo che ti ha sbranato, il tempo giusto per sentirti fatta di ossa, l’adolescente di sempre, che non si è conquistata il permesso vitalizio alla vita. È bastato una disaccordo, per annusare l’odore della delusione. Adesso sei ritornata, e non sarai più la stessa.
La tua palude adesso è la tua vera libertà: la vita intorno ai centimetri quadrati di scelta che ti rimangono, tra scuola e casa, ora che il sogno non è più la sceneggiatura di un film.