Quella letteratura che chiama le cose per nome e cognome, usando gli attrezzi sterilizzati del chirurgo, mi annoia. Quando al nome e cognome rimangono invece attaccati parassiti e microbi, leggere diventa immaginare. Il grado zero della lingua italiana adoperata per romanzi e traduzioni dal cinese o dal congolese, è stancante per me. Specie per romanzi opere prime di cinquecento pagine. La letteratura italiana si è sposata spesso con una lingua regionale. Il mercato che sterilizza il linguaggio allontana dalla realtà, dalle cose e dalla verità. Si diventa anglosassoni con una lingua parlata e compresa da miliardi di persone. Si dimentica la tradizione espressiva della nostra lingua. Forse è un bene? Allora io eleggo come campione della letteratura italiana del secondo novecento Stefano D’Arrigo. Leggo anche Vincenzo Consolo e trovo parole e frasi che solamente loro mi regalano significati e poesia, creano frammento, ma intenso ed evocativo.
… la massacanaglia dei bastasi, l’armonio si sgonfiò come una rana, la pelle rizza, si rifece la guglielma, il letto con le tavole nude, per poco un cane non ci ficcava i denti, s’era ganzato con una senza fare figli, volle sprovare la mia affezione, le case di lava senza intonaco, io ti mangio l’anima, ciaramella scassata, parlar grassi, avevano il duebotti e le coppole calate sopra gli occhi, queste cose si tengono in panza, quattro meno meno ci cavai, quei due si facevano l’amore a forza d’occhi, un mare fermo come una balata …