Racconto di un viaggio in Madagascar. Un lungo monologo, con descrizioni, riflessioni e disgressioni. Tema ricorrente: la nullità degli altri, di tutti quelli che incontra, europei o malgasci. L’iperbole dell’io narrante offusca l’umanità. Le persone non sono altro che il pensiero dello scrittore, oppure le cose su cui esse si poggiano. Fa eccezione la bellezza. Dinanzi la bellezza della donna, l’esuberanza narcisista lascia posto all’inno e alla meraviglia. Hanta è una donna meravigliosa, nelle sue fattezze fisiche e per la dignità che traspare ad ogni suo gesto. Hanta gli confezionerà una camicia ricamando un Lemure e autografando con filo rosso la sua grazia. La bellezza di questa ragazza ancora vergine si contrappone a tutto un ambiente in cui commercio e soldi rubano coscienze e pensieri. Un Madagascar poverissimo, che accoglie il palazzo enorme del Presidente, migliaia di chiese, e case di terra e paglia. I soldati lungo la strada, le risaie, le donne che vi lavorano, gli occidentali con le certezze da depliant turistico. Le invettive dell’autore, il tono letterariamente elegante e minuzioso, ironico e talvolta aggressivo, si rivolgono contro l’ottusità perbenista occidentale, che inibisce la vitalità individuale al fine di inserire la felicità all’interno di un codice morale di Stato.