Enigmatico mi è subito parso il mito di Pandora, questo mito tutto esiodeo.
Lo conosciamo. Zeus dovrebbe vendicarsi su Prometeo perché è stato ingannato e disubbidito. Nella costruzione di Esiodo gli uomini sono costretti a procurarsi il necessario per campare, altrimenti vivrebbero nell’ozio e nell’ignoranza. Gli dei infatti hanno privato del benessere l’uomo: il fuoco che Prometeo infine ruba. Zeus risponde alla rapina inviando sulla terra una donna giovane, astuta, seducente, ma ingannatrice e puttana: Pandora.
Pandora non appena è creata, raggiunge la casa del fratello di Prometeo, Epimeteo.
Epimeteo non è arguto, si fa sedurre con facilità, accoglie Pandora in casa, e con lei la sua dote, un vaso. Praticamente, sembra che non appena Pandora metta piede in casa di Epimeteo, aperto il coperchio del vaso, cominciano a diffondersi in maniera virale epidemie, morbi, lutti, e dolori. Si manifestano tutti i mali dell’uomo. Tranne uno: la speranza, che sarebbe stato l’ultimo a uscire fuori, se Pandora non avesse richiuso il vaso. Doppia perfidia. Lasciare la speranza dentro il vaso non è un gesto misericordioso, tutt’altro.
Cosa vuol dire? Forse, come recita il detto, “la speranza è l’ultima a morire”?
Cosa significa che la speranza sia rimasta in fondo al vaso?
Nella settima Satira (leggetele tutt’e sette, sono straordinarie), Ariosto scrive a un certo Pistofilo, che sembra potergli offrire un posto a Roma come ambasciatore dello stesso papa Clemente VII. L’Ariosto spiega il motivo per cui rifiuterebbe l’invito, pur accennando anche a un motivo validissimo per cui accetterebbe l’incarico. Poi alla fine non si farà nulla. Ludovico vuole rimanere vicino a Ferrara, e ha i suoi motivi. Lui fa tutto un discorso, e poi afferma che non vuole crearsi false aspettative, e non vuole desiderare più onori e ricchezze di quanti già non ne abbia (ed erano ancora pochi, o comunque scomodissimi, tuttosommato). E scrive:
Non vuo’ più che colei che fu del vaso
dell’incauto Epimeteo a fuggir lenta
mi tiri come un bufalo pel naso …
e poi spiega …
… Fin che de la speranza mi rimembre,
che coi fior venne e con le prime foglie,
e poi fuggì senza aspettar settembre …
Ludovico non vuole sperare di raggiungere una posizione sociale in cui abbia a ringraziare qualcun altro. L’idea di arricchirsi per beneficio altrui non lo allieta per nulla. Riporre nella volontà del Papa la propria vita, significa perdere la libertà: ciò che verrà elargito, potrà essere tolto. Lavorare a Roma significherebbe perdere autonomia.
Affidare la propria libertà alla speranza di ricchezza e onori è un atto insulso. Ariosto cita Esiodo.
Perché la speranza è vana. E ciò che la fortuna concede con una mano, con l’altra toglie.
Speranza e fortuna sembrano essere compagne.
Alla luce del realismo ariostesco, uomo per nulla sospeso tra le nuvole dell’immaginazione, che cosa potrebbe significare dunque il mito di Pandora?
La speranza rimane dentro il vaso, cioé non si palesa, non si manifesta come un male.
Ma è un male per chi agisce secondo ‘ragione’.
La speranza, rimanendo nel vaso, è invisibile nella sua accecante verità: fa credere agli uomini che, senza lavorare sodo, si possa raggiungere impunemente una posizione sociale più agiata (leggi: la speranza del fratello di Esiodo, Perse, che si era impadronito indebbitamente di parte dell’eredità). La speranza illude. La speranza in realtà è un male. Ma la speranza non si manifesta come vana, anzi dà illusione di benessere. L’essenza della speranza tuttavia è la vanità, per Esiodo come per Ariosto. Sarà sempre l’ultima a morire, la speranza, soprattutto se solo a lei, e quindi alla fortuna o all’inganno, si affida la sorte della propria esistenza.