“Καὶ ὑπὸ μὲν δὴ τῶν αὺλημάτων καὶ ἐγὼ καὶ ἄλλοι πολλοὶ τοιαῦτα πεπόνθασιν ὑπὸ τοῦδε τοῦ σατύρου”(Platone, Simposio, XXXIII).
Alcibiade si emoziona se ascolta i discorsi di Socrate: il cuore batte forte, piange, si commuove. Si sente come fosse impossibile continuare a vivere nel modo in cui vive. I discorsi di Socrate sconvolgono Alcibiade, e lo possiedono, rivelando il bisogno di Dio e del misteri dell’esistenza (δηλοῖ τοὺς τῶν θεῶν τε καὶ τελετῶν δεομένους).
Socrate è paragonato a Marsia, il sileno che suona il flauto. Come un musicista, Socrate parla, e commuove, pur usando nude parole (ψιλοῖς λογοις). Essere schiavi della musica è la condizione ultima ed evidente della forza di una verità a cui non si sa opporre alcuna difesa. La musica quando emoziona ha svolto la sua funzione. Quando le nude note intrattengono un intimo dialogo con l’anima, si svela la verità. Il discorso retorico, quello fatto di ornamenti e false suggestioni, è invece un’impostura: rete in cui l’animo inesperto cade. L’alto volume dell’amplificazione, le luci sul palco, l’attesa dell’evento, l’apparizione del fenomeno, l’abito clamoroso, la stravaganza: tutto ciò veste le note della retorica dello spettacolo. L’apparizione, e non più l’ascolto.
Esiste anche una musica fatta bene, perfetta, ma priva di forza di persuasione. Il cuore di Alcibiade batteva sfrenato ai discorsi di Socrate, non alle parole di Pericle.
Se la grande musica ha uno scopo, questo è quello di mostrare il divino e le cose ultime dell’esistenza – δηλοῖ τους τῶν θεῶν τε καὶ τελετῶν δεομένους – con quella forza persuasiva a causa della quale il corpo trema e gli occhi piangono.