
questo testo nasce da un incrocio di
idee suggestioni dalla lettura di Spazi
metrici di Amelia Rosselli una delle
considerate più importanti poetesse del
Novecento. Ho regolato il righello per
ottanta battute e ho cominciato a
scrivere avendo come punto di
riferimento solo idee senza pensare
dove queste dentro lo spazio cadessero
importante che cadano senza che ci sia
un obbligo calcolato dall’io scrivente,
bensì della macchina che ricostruisce
uno spazio temporale ripetitivo, ovvero
un rullo quadrato in cui cadono, come il
citato da lei rullo del pensiero cinese, le
parole, le logiche e al tempo stesso le
immagini che la mente colpiscono in
istanti suggeriti dalle sillabe, lettere cose
pensieri, una epserienza di scrittura a
dirsi onirica inconscia in cui il controllo
cosciente si allenta alla logica che
subentra a poco a poco se svolto l’
esercizio il lapsus e l’estetica e la
cultura ovvero tutto un insieme di voci
che scorticano il pensiero. Anche
l’errore è portatore di senso, un errore
per associazione o semplice errata
battitura per vicinanza.
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll
questo esercizio o metodo di lavoro era
praticato credo dalla poetessa tramite l’uso
della macchina da scrivere, e la
macchina da scrivere Olivetti si chiama
Lettera eccetera eccetera e come uno
strumento musicale riproduce un
ticchettìo e una campanella che suona
poco prima si giunga al margine destro
del quadrato, margine destro che la
poetessa afferma essere sempre un
punto di riferimento da non lasciare
vuoto e come ciò possa avvenire non è
ancora dal qui scrivente chiaro: scrive
lei: lo spazio vuoto se per caso esso
cadeva sul punto limite del quadro,
veniva immediatamente seguito da altra
parola, in modo di riempire del tutto lo
spazio e chiudere il verso, ma non è
chiaro se aggiungendo la parola al
margine destro sforasse il quadrato rullo
prestabilito o operasse una revisione del
verso smussando le parole,IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
modificandole, come avviene nel verso
di sopra, ma si considera che a fine
verso nella poesia della Rosselli è anche
possibile trovare lettere come in questo l’
apostrofo caso, e se dovessi
allineare il quadro a destra nel piccì
basterebbe usare la funzione della
giustifica, cosa non praticabile sulla
macchina da scrivere dopo l’esecuzione
del testo poetico. Uso il termine
esecuzione perché la forma poetica in
questione nasce da una elaborazione
teorica che mette radici nella
metodologia compositiva del post
webernismo o musica seriale o
elettronica, ovvero la radicalizzazione
della rivoluzione musicale avviata da
Arnold Schoenberg e Webern negli anni
venti. I nomi sarebbero del post Webern
tra gli altri Boulez in primis, quindi gli
italiani Berio e Nono, e il celebre
Stockhausen. In un incontro pubblico
(pubblicato sul Meridiano dedicato alla
poetessa), lei dice che mi hanno
interessato due tipi di musica: quella
concreta e la musica folk, quella
veramente folk, la musica non
determinata dalla scala temperata che è
poi un’invenzione di Leibniz. La Rosselli
è interessata alla musica ma non alla
musica come generalmente intendiamo
noi non addetti ai lavori di
sperimentazione o che non usiamo
manopole di generatori di suono oggi
facilissimamente recuperabili su
qualsiasi software allegato al pc in uso,
cioè non intende crederei lei quella
musica scandita in battute, il tempo
scandito in battute e numeratore
tradizionale di scansione ritmica tre
quarti quattro quarti e così via oltretutto
furono anni di sperimentazioen anche
grafica della scrittura in sè musicale, e
con un’armatura tonale di apertura,
che cambia ma rimane sempre
confinata negli ottanta circa tasti del
pianoforte, sembrerebbe che la musica
ricercata, il Ricercare della Rosselli non
fosse neanche quella veramente
elettronica da che essa produce sempre
un rumore estraneo e di fondo generato
dalla macchina e che quindi si
sovrappone alla voce vera o invisibile
del compositore: l’analisi elettronica è
falsata dagli strumenti che utilizziamo.
Quindi ascolto Telemusik di
Stockhausen, e la musica non è più
composta da un tempo di battute o
misure separabili entro cui avvengono
gli accadimenti. Il tempo è appiattito da
un sottofondo di rumore o frequenza
elettronica costante, ripetitiva, e durante
questo tempo assoluto accadono,
proprio cadono verticalmente i fatti
sonori e si viene a formare anche una
struttura spaziale orizzontale, secondo
una gamma sonora che va dall’alto al
basso e non solo, vicino e lontano,
circolare o statico, alla costante
insomma si sommano orizontalmente
per accadimenti verticali momentanei
materiali sonori. La ripetizione e la
variazione sono costanti della musica
contemporanea, della musica di ogni
tempo probabilmente, ma nella musica
contemporanea intesa quella del
secondo Novecento ma anche di questo
ventennio nelle sue forme della musica
detta neoclassica esemplificando
Ludovico Einaudi allievo Berio, chi lo
avrebbe detto, la variazione nella
ripetizione sono state assunte come
principio formale; Ezio Bosso, il celebre
compositore che ha lavorato al fianco di
Philip Glass e Nyman, amava parlare di
musica cellulare, non minimale. Da una
cellula nasce l’organismo, un organismo
piuttosto temperato nel caso specifico
come nel caso dei nipoti più popolari di
Glass, ma anche per lo stesso maestro
americano di Einstein on the beach: per
nulla temperata è la ripetizione (quando
parlo di temperatura armonica dico in
riferimento alle classiche ventiquattro
tonalità facilmente riproducibili in un
pianoforte accordato a 440 hz o giù di lì
in considerazione che nei tasti centrali
ogni nota è composta da tre corde),
nella produzione post weberiana, e nel
dire questo non mi riferisco alla
presenza di dissonanze (in sè la
dissonanza è stata sempre il motore
dell’emozione musicale): ma a una
concezione del suono non più
tradizionalmente accordato ai suoi
armonici naturali, ma a quelli artificiali o
seriali, e la musica non è più un accordo
di do maggiore ma materiale sonoro
timbrico quindi, concreto e fisicamente
riproducibile. Mi è suggestivo riferirmi
alle composizioni, quelle di Max Richter,
che dall’elettronica è approdato alla
sinfonica, non tanto formalmente
quanto nell’uso di strumenti tradizionali
a cui affida composizioni che vivono per
una concezione spaziale della musica,
anzi: architettonica come architettonico
vorrebbe essere lo spazio metrico della
Rosselli. Se ascoltiamo un brano
dell’ultimo Max Richter, come per
esempio l’interminabile serie di Sleep, il
suono è sempre stratificato, e nuceli
ripetitivi fino al dormiveglia convivono
d’innesti verticali e orizzontali, che
consentono, risaltano profondita
armonica alla forma, e intrecciano
frammenti di melodia, annunciate e
completate solo nella lunga ed esausta
ripetitività delle serie armoniche, e
quindi poi variate negli elementi cellulari
minimi. Ripetizione e variazione anche
nell’opera in prosa di Thomas Bernhard.
Ma nella Rosseli quest’ansia formale,
nata dalla frequentazione di un
ambiente musicale di ricerca si riempie
di contenuti tutt’altro che temperati
dalla tradizione lirica o meglio non solo
quelli del Duecento in Variazioni belliche
per esempio, ma il riempitivo del tempo
fluido e materiale, quel ticchettìo
continuo che ascolto anche qui
scrivendo sulla tastiera fatto di lettera e
spazio lettera lettera e spazio, è una
danza ossessiva e insignificante ma
formalmente costringente entro cui
gettare gli armonici dell’inconscio, del
calcolo, della peripezia delle parole, e
quindi mi ricordo di un pianoforte antico
a casa di mia zia, un pianoforte del
Novecento inizio, e allora ricordo che
avevo provato a poggiare le mani su tre
tasti volendo ascoltare tre suoni in
sincronia, suoni che avrebbero dovuto
riprodurre un modesto do maggiore in
triade fondamentale, do mi sol, ed ecco
che invece dalla cassa armonica, che in
questa occasione diventa disarmonica,
fuoriuscirono colpi di frusta (una corda
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spezzata verosimilmente e in do
maggiore in forma di triade le corde
sono in tutto nove), suoni
tridimensionalmente distorti, un eco
suscitato dal pedale abbassato, e
quindi altri suoni che riverberarono e altri
suoni inusitati, un fantasma, un orrifico
nulla orfico che prendeva forma di materiale
sonoro temperato dai sedimenti degli
anni dell’incuria creativa e della
trascuratezza, il do maggiore educato
dal tempo e dall’inconscio della cassa
di legno. E se provassi a togliere i
suoni e sostituire ai tasti lettere, e
provassi a fare di quelle lettere
imprevedibili segni di un tempo
distorto un ricordo storto, allora forse
potrei essere in grado di ascoltare ciò
che Amelia Rosseli ha realizzato con la
sua opera poetica.
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© FrancescoGianino