Non lasciarmi, Ishiguro

di Maria Ingrassia

Non lasciarmi è un romanzo ucronico dello scrittore britannico di origini giapponesi Kazuo Ishiguro, pubblicato nel 2005. Il genere ucronico si basa sulla premessa che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale.

La storia è ambientata in Inghilterra, negli anni novanta ed è proprio grazie all’utilizzo di flashback che la protagonista, Kathy, ci racconta del rapporto venutosi a creare nel tempo tra lei, Tommy e Ruth. I tre ragazzi crescono in un collegio, Hailsham, insieme ad altri compagni accuditi da un gruppo di tutori che si occupano della loro educazione. Kathy sin da piccola osserva molto quel che accade intorno a lei, ed è sempre pronta a cogliere ogni dettaglio utile a comprendere come sarà il futuro fuori da Hailsham. La triste verità è che però quella vita futura non arriverà mai. Kathy, Ruth e Tommy lasceranno Hailsham ed il cambiamento radicale avverrà proprio in quel momento, quando dovranno fare i conti con la realtà. Sono ormai consapevoli che il loro destino è quello di diventare assistenti di donatori e un giorno loro stessi donatori. 

È così che l’esistenza di questi cloni creati dalla medicina si riduce ad un unico scopo, le donazioni di organi. Nonostante ci venga rivelata la vera natura dei personaggi, possiamo notare come ognuno di loro abbia una propria personalità ben definita. Ciò potrebbe derivare dal fatto che i tutori riescono a vedere questi ragazzi come semplici esseri umani. Per loro lo sviluppo delle capacità artistiche è fondamentale; i bambini sono invogliati a dipingere, scolpire, scrivere, in modo tale da poter dimostrare che possiedono veramente un’anima e non sono semplicemente pezzi di ricambio.

Non credo di riuscire bene ad esprimere quello che mi ha lasciato questo romanzo. 

In un primo momento credo di essermi pure annoiata, perché avevo parecchie domande alle quali non riuscivo a trovare risposte che avessero un senso. Nonostante ciò ero troppo curiosa di saper dove il libro mi avrebbe portata e quali fossero le conclusioni. Non so se la scelta di introdurre le verità poco per volta mi abbia più infastidita o invogliata a leggere. Successivamente, invece, quando mi è stata chiara la situazione, credo di aver provato soprattutto un grosso sentimento di tristezza e angoscia. Se da un lato ero felice di sapere che qualcuno capisse l’importanza della vita di questi ragazzi e si battesse per loro, dall’altro non riuscivo a comprendere certe scelte. Come ha potuto l’umanità trascurare una situazione così importante ignorando la gravità della situazione e normalizzandola? Allo stesso tempo, perché questi ragazzi, nonostante questa consapevolezza, non hanno fatto nulla per cambiare il proprio destino? Com’è possibile accettare così facilmente il proprio destino e rassegnarsi all’idea di doversi adeguare alla vita scelta da altri per loro? Ad essere sincera avrei preferito che questi argomenti venissero approfonditi. Tuttavia il libro ci lascia un messaggio molto importante: questi ragazzi conoscevano perfettamente il prorpio destino eppure non hanno fatto altro che concentrarsi sull’amore che provavano gli uni per gli altri, e ciò ci fa capire che alla fine le cose più importanti sono le relazioni umane.

(Maria Ingrassia è una studentessa del Liceo delle Scienze Umane – Istituto Turrisi Colonna – Catania)

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