di Marco Trainito

Questo romanzo di Gian Marco Griffi, uscito circa un mese fa, è probabilmente destinato a diventare il caso editoriale dell’anno. Sarebbe un errore farsi scoraggiare dalla mole (sono 816 pagine, compresa la postfazione di Marco Drago), perché si tratta di uno di quei casi rari di storia magnetica e fascinosa che sin dalle prime pagine ossessiona a tal punto il lettore da impedirgli di staccarsene, trascinandolo con sé fino alla fine.
La trama portante, dalla quale però si dirama un’infinità di storie secondarie, è costituita da una vicenda grottesca. Siamo ad Asti, nel mese di febbraio del 1944, e il giovane milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria Cesco Magetti, tormentato dal mal di denti e impossibilitato a recarsi dal proprio dentista Guasco, perché aveva da poco disertato per raggiungere i partigiani sulle colline, riceve dal suo Aiutante capo Morucci un incarico assurdo: “redigere una documentazione dettagliata della rete ferroviaria del Messico” (p. 11) in una settimana, a partire dall’indomani, 9 febbraio. Questo incarico, che sconvolgerà in vari modi non solo la vita di Cesco ma anche le vite di molte persone che gli stanno attorno, compresa quella dell’odioso Obersturmbannführer Hugo Kraas, non è altro che uno dei risultati a cascata del classico “effetto farfalla”, e la farfalla in questione aveva mosso le proprie ali il 7 giugno dell’anno prima in uno sperduto ufficio dell’Ordnungspolizei (Orpo) di Berlino.
Quel giorno, infatti, «Bardolf Graf, impiegato amministrativo presso la Divisione ferroviaria della Orpo, Dipartimento suicidi statali assistiti (…), ricevette una busta inviata da una ricca nobildonna di nome Marie Agnete von Thurn und Taxis, la quale per ringraziarlo di una sua premura gli fece dono di un libro intitolato Poetische und malerische Geschichte der Eisenbahnen in Mexiko» (p. 40). Si tratta della traduzione tedesca del libro dello scrittore messicano Gustavo Adolfo Baz, Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México, opera misteriosa in cui tra l’altro si parla di Santa Brígida de la Ciénaga, una «città mitologica (non segnata su alcuna mappa ufficiale) la cui caratteristica era quella di poter essere raggiunta soltanto in treno, grazie a una deviazione lungo la linea ferroviaria che da Paso Negro conduce a Monterrey» (p. 41). Il problema, però, è che il diretto superiore di reparto di Bardolf, insospettito dello strano dono, denuncia il sottoposto, il quale deve affrontare un vero e proprio processo kafkiano nei meandri dell’Orpo, perché, tra l’altro, il libro è scritto da un “giudeo” (p. 52) e nelle pagine su Santa Brígida sembra contenere il riferimento occulto a un’arma segreta “diabolica e terrificante” (p. 217) in possesso dei suoi cittadini. Scatta così un’isteria paranoica che raggiunge i vertici del regime nazista, fino a Himmler, che ne dà notizia di persona a Hitler. Da qui parte l’ordine di realizzare una mappa delle ferrovie del Messico per raggiungere la città misteriosa e mettere le mani sull’”arma risolutiva” (p. 52); ordine che, tornando indietro e scendendo tutti i gradini delle gerarchie di comando, arriva, attraverso un delirio burocratico che dalla Germania si riversa sulla Repubblica di Salò grazie anche al disprezzo che i tedeschi nutrono nei confronti degli italiani, al povero milite di Asti Cesco Magetti. Questi, allora, si reca nella biblioteca della città e scopre, grazie a Tilde, una ragazza strana (si scoprirà poi perché) che aiuta il bibliotecario e di cui Cesco si innamora immediatamente, che esiste un libro che potrebbe essergli utile, proprio quell’Historia di Baz, illustrata da Eduardo Gallo. Il libro, però, è momentaneamente in prestito e così Cesco e Tilde iniziano una caccia snervante, dal momento che esso è passato di mano in mano fino a scomparire nei bagni pubblici della città. Nel corso di questa vana ricerca, i due ragazzi si imbattono in una serie di personaggi straordinari, ognuno dei quali ha qualche storia da raccontare: due insoliti becchini con un passato burrascoso di costruttori di ferrovie in America latina (forse i più indimenticabili), un poeta frenatore oppiomane, i cospiratori antifascisti del Dopolavoro ferroviario, un vecchio conte raffinato bibliofilo e il suo servo che manda interi libri rari a memoria per ripeterli al padrone, il quale, dovendoli collezionare e restaurare, non ha tempo per leggerli.
Le peripezie di Cesco diventano così un viaggio iniziatico nel regno dell’immaginario letterario, cioè una vera e propria Bildung che lo condurrà a un gesto tragico, però dalla parte “giusta”, ovvero quella dei gesti “non perduti” (nel senso preciso del Calvino del Sentiero dei nidi di ragno).
La bellezza travolgente di questo romanzo è il risultato di molteplici fattori. Innanzi tutto, la lingua. Griffi, infatti, varia con grande precisione su molteplici registri espressivi, da quello più piattamente burocratico a quello più intensamente lirico, esibendo anche un’esuberanza lessicale sbalorditiva, soprattutto grazie al continuo ricorso a un gran numero di regionalismi che restituiscono vividamente la cultura popolare astigiana. La narrazione, poi, non è uniforme, perché i numerosissimi capitoli sono raccontati da punti di vista sempre diversi: la voce narrante, per esempio, cede spesso la parola non solo a Cesco, ma anche a una miriade di altri personaggi, i quali usano il preciso registro espressivo che compete loro, per cui si va dalle parlate da caserma dei repubblichini alla prosa aulica ed erudita fino al ridicolo del nobile bibliofilo, passando per il discorso di serve, prostitute, maghe, avventurieri, gerarchi nazisti e sognatori vari. Salendo ulteriormente di piano, è del tutto evidente che il testo è anche un mirabile gioco metaletterario, perché è tutto intessuto di richiami intertestuali più o meno espliciti. L’uso della tradizione letteraria, a tal proposito, è molto articolato, perché non si tratta solo di raccontare una storia attraverso altre storie già raccontate e puntualmente chiamate per nome. Spesso, infatti, Griffi incorpora lacerti di testi altrui (non sempre notissimi) nel corpo del proprio testo, lasciando al lettore il compito di svelare il gioco.
Un esempio tra i più chiari del primo modo è l’uso del racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano di Borges, che non solo fornisce l’idea filosofica di fondo a tutta l’opera (la proliferazione dei mondi possibili a seconda dei percorsi che si scelgono nella trama intricatissima delle linee dello spaziotempo), ma addirittura a un certo punto entra nelle vicende del racconto stesso in quanto testo conosciuto da due personaggi maschili (oltre che dalla coltissima Tilde: cfr. p. 239), il becchino Mec e il capitano dell’aviazione militare americana Shumard, che finiscono per “dialogare”, pur distanti nel tempo e nello spazio, attraverso il codice borgesiano, e modificare di conseguenza il corso degli eventi (cfr. pp. 381 e 730-735).
Ma è la seconda modalità d’uso che innesca nel lettore l’istinto della caccia, perché qui si tratta di una vera e propria sfida. Vale la pena elencare alcuni esempi per chiarire meglio questo punto.
Quando si legge (p. 42) che il palazzo dell’Orpo è una «Torre Ottagonale (che altri chiamano SS-Führungshauptamt) [che] si compone infatti d’un numero indefinito, e forse infinito, di piani ottagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo…», il lettore è chiamato a tenere presente che si sta facendo il verso all’incipit de La biblioteca di Babele di Borges.
Quando il glottologo italoamericano Frank Calcavecchia scrive alla sua “Querida Norah” (p. 613) che Santa Brígida de la Ciénaga è una “città con sessanta torri, statue di bronzo con uomini giganteschi, vie lastricate in porfido…”, al lettore non può sfuggire che il passo ricalca la descrizione di una delle città invisibili di Calvino (Diomira). Quando si incontrano parole come “gnommero” (p. 453) e “cinobalano” (p. 626), si avverte l’omaggio a Gadda. Quando il partigiano Nando dice a Steno che loro combattono il fascismo “sia per una ragione privata che per una ragione pubblica” (p. 783), il riferimento a Fenoglio deve trasparire in tutta la sua pregnanza. Un caso meno impegnativo ma non meno chiaro si ha allorché si legge «dell’upupa che plana sulle croci, calunniata dai poeti; o magari il rauco e stonato nevermore del corvo» (p. 668), dove Foscolo, Montale e Poe sono evocati in un colpo solo. Lo stesso mal di denti martellante che obnubila la mente del protagonista non può non evocare Tempo di uccidere di Flaiano. Per non dire dell’irruzione di Eliot nel finale, evocato per almeno tre volte in poche pagine, prima indirettamente attraverso il passo del Satyricon sulla Sibilla Cumana posto in epigrafe a La terra desolata (p. 769) e poi direttamente con riferimenti precisi ancora alla Terra desolata (“e fu subito l’alba del mese più crudele”, cioè l’aprile del 1945, p. 797) e a Gli uomini vuoti (“chi lo inseguiva è svanito come sta per svanire il suo mondo, non già con uno schianto ma con una neghittosa dissolvenza”, p. 798). E si potrebbe continuare a lungo.
Né va trascurato l’uso sapientemente ironico alla tecnica dell’“eccesso”, nel senso in cui Umberto Eco usava questo termine parlando di Hugo, che comporta anche la ricerca dell’effetto “enciclopedico” e della “vertigine della lista” (sempre nel senso di Eco), come si vede per esempio nel mirabolante catalogo dei demoni meschini nella terra del niente (pp. 579-581).
Sul piano strutturale, infine, il romanzo presenta una particolarità così macroscopica da indurre il sospetto che si tratti di una semplice provocazione scherzosa, sotto l’aspetto dell’annuncio (finto?) di un sequel. Come da indice, infatti, il romanzo si presenta suddiviso in due parti, ma la prima parte termina a pagina 802, mentre la seconda, in cui si anticipano alcuni sviluppi ulteriori della storia, occupa solo la pagina 805.
Per concludere, una piccola lamentela sulla presentazione editoriale del romanzo. L’editore non ha al momento rilasciato la versione digitale, e non so se la rilascerà mai. Ora, leggere solo su carta un romanzo così vasto e ricco di riferimenti letterari, storie, personaggi e termini inconsueti può risultare frustrante per il lettore che vuole andare a ritrovare episodi, passi, espressioni particolari, titoli di libri e personaggi minori citati a distanza magari di centinaia di pagine. Non si tratta di semplice curiosità, perché ci sono casi in cui è assolutamente decisivo tornare indietro per una retta comprensione del testo, e in tal senso l’ebook è indispensabile. L’explicit, per esempio, è poco comprensibile nella sua complessità intertestuale, basata addirittura su una metafisica dei mondi possibili narrativi, se non si torna indietro alle pp. 614-616, così come è importante collegare le due apparizioni in contesti diversissimi del trattato in tedesco sui pesci favolosi dell’abisso (p. 525 ss. e p. 760) per capire il viaggio allucinante di Steno in Islanda (pp. 790-796), ricchissimo di rimandi alle mitologie nordiche (senz’altro uno dei vertici poetici del romanzo).