Klara and the sun di Ishiguro delude. Tanto geniale è il tema (l’intelligenza artificiale che aiuta l’uomo ad affrontare problemi esistenziali) e la modalità con cui l’azione narrativa procede, altrettanto delundente e monotono è l’ultimo quarto del romanzo, quando la vicenda svela significati metaforici e pedagogici.
Il problema di fondo è che Klara, pur avendo un proprio libero arbitrio programmato, non prova veri sentimenti. E di conseguenza, se essenzialmente triste per il lettore è seguire la fine che l’androide farà dentro uno scantinato oppure all’interno di una esposizione museale; per Klara stessa non c’è nulla di meglio che aver svolto perfettamente il compito per cui è stata creata: vincere la solitudine di Josie. Ma nell’androide non c’è emozione, e l’assenza emotiva della macchina traspare anche nella scrittura.
Ma se tutto questo delude il lettore, esalta la parabola della storia.
La tecnologia programmata per risolvere il problemi dell’adolescenza, accompagnando una ragazza nella sua crescita, è un tema fertilissimo. Seguire i pensieri di Klara significa comprendere quanto l’apprendimento sia un processo lento e complesso, e talvolta la lucida razionalità aiuta a perdere qualcosa che sembrerebbe irrinunciabile. Si rinuncia a qualcosa per raggiungere uno fine più alto, più grande, quello per cui Klara esiste. E questo è il modo con cui Ishiguro modula la parola amore. Amare significa semplicemente sacrificarsi.
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