Al poeta si può incolpare la mancanza di coraggio nel forzare l’illusione, non la sincerità dell’intenzione. La colpa è non essere stato meno sincero di quanto la sincerità imponesse. Rompere gli argini e farci cadere a testa in giù in un inferno incantato. Non lo ha fatto, anche se aveva carta bianca. Forse la pandemia, forse la sua verità lo ha fregato.
I Cento sonetti indie (interno poesia, 2021) avrebbero potuto arrotare un vortice vorace e farci risucchiare nell’ipnosi delle incrociate alternate rime, spingerci nella prigione dell’ossessione della cantilena quotidiana. Fino a cinquanta la catena tira, strapazzando immagini alla portata di metalmeccanico, e fila nella malattia e nella via crucis della chimica e della medicina assistenziale, ma poi il diario si imbolsisce di pensiero. E quindi il pozzo non è più profondo, ne usciamo tirati fuori dalla mano dell’amore familiare, dal credo nel Signore e dalla sincerità (per noi sospettosi) elementare. E così noi che eravamo diventati al cinquanta per cento Luca Alvino e abbiamo firmato da lettori un assegno in bianco sulla fiducia, riprendiamo la ragione del diavolo, ci armiamo di indifferenza, ci liberiamo dalla formula magica letteraria, e finiamo consolati, sconsolati e consolati: sconsolati perché non è tutto reale, consolati per la trasparenza del senso (quanto bello sarebbe stato finire dannati dalla chiarezza del senso! è in malattia essere felici per l’infelicità cantata?): Mallarmè lo abbiamo spedito a quel paese (bravo, Alvino!), come anche le metafore delle metafore di secondo grado (finalmente!), abbiamo contato endecasillabi con ictus in quarta o in sesta precisi, sono entrati in testa i battiti di questa minimal music in do maggiore, abbiamo respirato la barcarola blues della misura con tre accordi ad libitum, il beccheggio e il rollio a mare calmo, ma in arte il meteo promette sempre tempesta e questa deve arrivare vera e forte al centro della storia. Poi l’eroe deve salvarsi, ma all’ultimo momento, all’ottantesimo sonetto, suvvìa. La forma era perfetta per un sortilegio infuocato, e invece siamo ascesi nel paradiso della speranza. E la speranza è bella, anche se in poesia è più ardua dell’infelicità.
Ad Alvino non glielo perdoniamo: non perdoniamo la serenità conquistata nel malessere, lo vorremmo in tragedia asperso, e l’ode alla quarantena è cosi vera, che infastidisce ogni intellettuale impegnato di buon senso.
Certo, i sonetti di Petrarca incrociano sillabe, ma quasi non te ne accorgi per lontananza …
Benedetto sia il giorno e mese et l’anno
et la stagione e il tempo et l’ora e il punto
e il bel paese e il loco ove io fui giunto
da duo begli occhi legato m’anno
…
non te ne accorgi, tanto Petrarca lavora retoricamente di altro;
e Corazzini rima dolcezze e carezze, tristezze ebbrezze … con un tocco di mistero e sorpresa, dove addormentati rima con rassegnati, immacolati e alati
terra e rinserra, con un afflato da fanciullo malato, malato di malinconia. Era Corazzini.
Piccola bimba mia sempre malata
una cosa ti sei dimenticata.
La prima cosa che ti ho data, o amore,
ti sei scordata di ridarmi il cuore!
Noi piangiamo con Corrado, sì piangiamo.
Con il sonetto di Alvino (si parva licet, chi di sonetto ferisce di sonetto perisce, così vasta è la tradizione letteraria!) ci sentiamo scanzonati, rafforzati, consolati nella malattia finta vera reale, dall’amore coniugale, e questa ventata di fresca verità semplice alla portata di tutti – metalmeccanici o industriali – sembra facile possedere ed è al contrario un vero miracolo costruire. Questo sentimento modulato con tenerezza è la forza che vince ogni tristezza, e sembra che Manzoni, il Manzoni che frusta la finzione dell’arte, sussurri alle orecchie del poeta. Non c’è tristezza o malinconia, ma forza: la musica è il cuore forte, credente, schermato, difeso da una verità così vera come un’idea che è tanto vissuta che per dirla così com’è non avrebbe bisogno di niente che di un semplice finale. Tutte cose che invece la malattia di Corazzini fiaccavano, limavano, tagliavano fanciullescamente: amore e dolore. E poi quel problematico di Petrarca …
E dunque, la filastrocca, gli incanti finali della chimica letteraria sono a fine viaggio increspature nel mare calmo della fortezza.
©francescogianino