Sulla consolazione della poesia

Una lettura delle poesie di Mariangela Gualtieri

Vorrei analizzare il primo componimento della raccolta Le giovani parole di Mariangela Gualtieri, perché a me sembra contenere una dichiarazione di poetica.

La miglior cosa da fare stamattina

per sollevare il mondo e la mia specie

è di stare sul gradino al sole

con la gatta in braccio a fare le fusa.

Sparpagliare le fusa

per i campi la valle

la collina, fino alle cime alle costellazioni

ai mondi più lontani. Fare le fusa

con lei – la mia sovrana.

Imparare quel mantra che contiene

l’antica vibrazione musicale

forse la prima, quando dal buio immoto

per traboccante felicità

un gettito innescò la creazione.

Il volume è composto da diverse sezioni: Gemma dell’anno prossimo, Ma’, Studio sullo stare fermi, Le giovani parole, Tua prodigiosa visione (poesie per Bruno Schulz), Bello mondo, Esercizi al microscopio.

Non sono propriamente un esperto di poesia. Ma da lettore mi pongo alcune domande. Domande molto semplici. Per esempio: cosa racconta Mariangela Gualtieri. Uso il verbo raccontare, e forse avrei già fatto un passo falso. Eppure le poesie della raccolta sembrano formare un lungo racconto, fatto di estasi, dolori, gioie, ricerca e scoramento. L’oggetto del racconto è la ricerca della pienezza dell’essere, la gioia. Il protagonista sarebbe (mi perdonerete per la semplicità dei miei vocaboli ) il cuore. Scrive: Non angustiarti – cuore – se il tuo /udire si interrompe /e non c’è un giorno intero/ per l’innesto dei tuoi tamburi/ col battito potente universale. Dove i tamburi stanno per battiti, e battito potente universale sta per mistero della musica del creato. Anche quando la poetessa scrive Nella mia testa non c’è altro che mare/ altro che mare incantatore – altro nient’altro / che mare e sole in un crescendo silente/ e dormiente. La testa non è altro che il cuore, l’unico organo capace di ascoltare il mistero, l’irrazionale. E se dico cuore dico corpo, sensitività. 

Parla un mistero. Tace un mistero

e solo il corpo entra nel fiore

nel fiore d’acqua.

E dunque il luogo in cui si svolge la vita, l’avventura del cuore, il luogo in cui il cuore si colma di gioia o è abbattuto dalla pena, questo luogo è la Natura oppure la città. Oppure la stanza in cui la madre trascorre gli ultimi giorni di vita. Nell’estremo dolore, nel momento in cui duole/ il tempo spina, la goccia avvelenata, la poetessa in un afflato commovente usa il diminutivo. Sono due le occorrenze, se non sbaglio, in cui la poetessa usa il diminutivo. Per la madre: Muori, mammina. Non restare fra / gli spini del tempo (la partecipazione sentimentale a un dolore che s’apre alla luce del mistero, tanto ricorda Mario Luzi: e in quell’attimo punge più profonda / il cuore la spina della vita). E più in là, in riferimento alla crocifissione di Cristo (esserino anche/ lui).

La spina e la rosa: non c’è mai stato tema più poetico e cristiano.

Quindi: un cuore cerca la pienezza del proprio essere armonizzando i propri battiti con la musica della natura (mantra). Il creato è il luogo della salvezza, la città il luogo della caduta dallo stato di felicità …

le torri della edificata città …

Ritorno alla prima poesia, la rileggo a mente, poi ad alta voce, e mi accorgo della loro perizia ritmica. C’è una costruzione metrica prettamente classica. Il D’Annunzio di Alcyone. Una parola ad alta voce, scandita, che si accumula, il crescendo il rallentato, lo sforzato. Versi liberi, false rime interne, chiarezza del dettato.

Sparpagliare le fusa

per i campi la valle

la collina, fino alle cime alle costellazioni

ai mondi più lontani. Fare le fusa

con lei – la mia sovrana.

La parola declamata, che cerca un uditore, qualcuno che ascolti e comprenda. 

È poesia che vuole assolutamente avere un pubblico. E dice cose chiare.

O meglio, retoricamente chiare, dal momento che, come la buona tradizione ermetica insegna, le parole della poetessa – di solito sempre poco caratterizzanti di una determinato paesaggio naturale – sono usate nel loro valore analogico, nella capacità di evocare, non un concreto, ma un astratto, un’idea: un’idea di ricerca esistenziale.

E se nell’ermetismo l’analogia è priva del primo termine, e quindi ha come statuto fondante l’ambiguità, non essendo mai ben chiaro cosa precisamente il poeta stia dicendo, nella Gualtieri il primo termine di paragone ci sarebbe, anche se è omesso: il primo termine è tutto il mondo culturale di cui la poesia gronda. Noi comprendiamo cosa vuol dire sparpagliare le fusa per i campi la valle la collina. Semplicemente: crogiolarsi ad effusioni di affetto col creato, ovvero entrare in empatia con le colline, gli alberi e tutto quanto Franco Arminio proclama da venti anni e più, pur con strumenti e scopi un po’ diversi. Che poi, ‘entrare in empatia con le colline’ avrebbe in realtà un significato molto ambiguo, anzi impossibile, anche se ogni lettore col proprio organo di felicità, il cuore, ne accoglie il senso.

Nella Gualtieri non c’è enigma. È vero, lei stessa afferma che il creato è mistero. Ma le poesie sono parafrasabili, quindi sono “semplici”, come recita la quarta di copertina del volume. E ciò non avviene per contraddire la tradizione poetica da D’Annunzio in poi, da cui invece si alimenta. Il sistema retorico dell’analogia è stato trapiantato in un reticolo semantico di tipo panico – religioso (perdonatemi la definizione). E dove c’è religione c’è l’inesprimibile, e tutto ciò di cui si può parlare è solo l’al di qua, eco imperfetto del mistero irradiante.

La Gualtieri come Francesco d’Assisi. E tocchiamo adesso il perché, secondo la mia lettura, del gesto poetico. 

Non solo cocci di bottiglia e muraglie mute, ma la certezza della luce. Una luce alla Dante più che alla Montale.

L’uomo è stato espulso dall’Eden, per usare una immagine culturalmente pregnante, ma suggerita dal componimento …

La miglior cosa da fare stamattina

per sollevare il mondo e la mia specie

è di stare sul gradino al sole

Per risalire verso la luce bisogna …

Imparare quel mantra che contiene

l’antica vibrazione musicale

forse la prima, quando dal buio immoto

per traboccante felicità

un gettito innescò la creazione.

La poesia della Gualtieri è poesia gnomica e, nel termine più filosofico, consolatoria.

De consolatione poesis.

(©Francesco Gianino)

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