
Uno degli autori antichi di cui è giunta grandissima parte della produzione letteraria è Cicerone. Orazioni politiche e giudiziarie, manuali di scrittura, saggi di filosofia e storia della retorica, raccolte di lettere. Gran parte delle conoscenze dell’ultimo periodo della repubblica di Roma si confrontano col punto di vista, lo sdegno e la passione politica di questo campione dell’arte della persuasione. Leggere Cicerone non è un esercizio liceale, ma un’avventura della conoscenza. Nulla di quanto scritto, è stato fatto per averne un tornaconto economico. D’immagine, sicuramente. Interessi politici, esistenziali. Ma non direttamente economici. Cicerone, per quanto le orazioni circolassero già nelle librerie dell’epoca, non viveva di scrittura. L’otium letterario inoltre non produceva reddito, ma garanzia d’immortalità. Leggere gli antichi è quindi, come fatto di principio, già una promessa di autenticità, una sfida alla morte.
Nelle orazioni cesariane, quelle pronunciate nel foro o in senato dopo la vittoria di Farsalo e la morte di Pompeo, Cicerone elogia la clemenza del dittatore. Senza Cesare non c’è salvezza. Senza Cesare non ci sarebbe salvezza per quella classe di senatori quasi oligarchi che siede nella Curia di Roma. Sono state frasi d’occasione, figlie dell’adulazione, ma mai tanto servilismo fu profetico. Morto Cesare per mano di uno dei rampolli delle più antiche famiglie aristocratiche, Marco Giunio Bruto, lo strano compromesso tra libertà e dittatura si è spezzato. Se il principe è costretto a scegliere tra l’amore e l’odio dei sui sottoposti, egli preferirà essere odiato anziché amato, opponendo all’odio la propria crudeltà. Questo in sintesi la riflessione di Machiavelli, non il pensiero di Cesare che, esercitando la clemenza, fu ucciso da chi era stato graziato, ex pompeiani scampati alla disfatta. La crudeltà fece invece di Silla un simbolo della tirannia, oggetto d’infamia e disprezzo da parte della storiografia filo senatoria; eppure egli, sottoscrivendo giornalmente liste di proscrizione, andò in pensione illeso, senza essere vittima di congiure. Cicerone potrebbe insegnare come l’arte della crudeltà è strumento di potere incontrastato. E qualcosa traspare nelle lettere da lui inviate a Bruto accampato con l’esercito in Macedonia. Ne condanna la mancanza di determinazione nell’affrontare Antonio.
Esercitando la crudeltà Silla aveva restituito la Repubblica ad un senato ultra aristocratico. E forse in Cicerone vi era stata la speranza che con Cesare si potesse ritornare a un equilibrio tra potere individuale, sostenuto da plebe ed esercito, e quello aristocratico. E forse fu proprio il metodo di Cesare, il dittatore clemente che perdona e mantiene in vita un senato nemico, a non rifare il percorso di Silla. Cesare aspirava al regno, questa l’accusa. Per paradosso un Cesare giovanissimo, di cui Mario fu parente, era già stato graziato da Silla al tempo della prima guerra civile. La clemenza non sembra portare fortuna ai dittatori. Non saranno quindi clementi gli eredi di Cesare: Antonio e Ottaviano. Con gli eccidi delle parti avverse è spianata la strada al dominato o principato. Sono questioni di terminologia il cui comune determinatore è il potere assoluto della classe dirigente incarnata dall’imperatore.
Dopo la battaglia di Azio il valoroso Antonio morirà tra le braccia di Cleopatra, e Ottaviano, eliminando anche il giovanissimo Cesarione, diventerà l’Augusto.
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