Il Falò della civiltà

Falò è l’ultima parola che conclude l’ultimo romanzo di Cesare Pavese. La frase per l’esattezza è la seguente: L’altro anno c’era ancora il segno, come il letto di un falò. Il rogo finale non è propiziatorio, parte di uno scaramantico rito di purificazione e fertilità contadina, bensì è utile per bruciare il corpo di Santina, accusata di essere una spia fascista. Il partigiano Baracca legge l’imputazione d’accusa e la sentenza finale. La ragazza seduta ascolta. Poi è condotta fuori, cerca di scappare, ma è colta da una scarica di mitra. Il corpo viene bruciato. Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi. Sarmenti e benzina, poi un gran falò.

Il romanzo finisce così. Col ricordo dell’ennesima violenza tra partigiani e fascisti. Finale cupo, preceduto dal racconto della morte delle altre due sorelle di Santa. E dunque, alla luce di queste tragedie, il ritornare di Anguilla (l’io narrante) in paese è un riappropriarsi di quella parte di storia, storia collettiva e privata, della comunità tra Gaminella e Canelli, lungo il Belbo. Il paese ha fatto la sua storia in mezzo alla povertà, alle pazzie private e alla guerra: tirare a campare tra slanci vitali e un utile pratico.

L’America per Anguilla non è stata una seconda patria, ma un altro luogo in cui registrare la propria esclusione da una identità comune. Il momento in cui Anguilla riconosce di non avere radici coincide con qualche frequentazione femminile. A Genova, in America, non ha conosciuto l’amore, ma compromessi, relazioni a scadenza. Ed infine, nel paese in cui fa ritorno, non ritrova più nessuno con cui poter riprendere un nuovo discorso di comunità. Ad eccezione di Nuto e del giovane Cinto.

Un romanzo sul fallimento. Un romanzo poetico, malinconico. La rievocazione dei lavori in collina, la prima giovinezza, il paesaggio sono malinconici. Pur nel ricordo di un’esistenza dura, anche violenta e di oppressione, rimane un alone di nostalgia per un spinta, anche illusoria, verso la vita. La vita è tragedia, ancora più nera quando si perde per un aborto segreto, per il tifo, per la violenza delle rappresaglie militari. Ma il ricordo di una forza interiore, forza di volontà, rende quella stagione una stagione mitica. Violenta, ma felice.

Pertanto, questa nostalgia per il paese è un semplice desiderio di ritorno verso l’incoscienza. Regressione sentimentale verso un luogo pre natale, che è quello che chiamiamo mito, Natura, oppure Dio.

©fg

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